McDiana

 

From Max (December 1997)

by Marco Pensante

Dodici mesi. Dodici foto. Dodici storie:

dalle stragi in Algeria a Ronaldo, dalle Spice Girls al neo Nobel Dario Fo.

E un articolo di Douglas Coupland dedicato a Lady Di e al culto della celebrità. Alle soglie del Duemila.

Max (mensile italiano), dicembre 1997

Una catena di ristoranti in concessionaria esclusiva, come la McDonald's, ha successo se la sua prima filiale è in grado di dare vita a un modello tematico che sia al tempo stesso semplice e ripetibile con facilità. Più è semplice il tema, più di successo e longevo diviene il ristorante. Il primo McDonald's, nella California meridionale, era concepito sulla traccia di un'idea semplice e (per l'epoca) rivoluzionaria: quella di "pranzo istantaneo". Niente code snervanti, niente camerieri: la gente si serviva da sola al banco. Un concetto di ristorante assolutamente nuovo, che collimava alla perfezione con gli sperimentalismi dirompenti americani dell'epoca in fatto di autostrade e vita nei sobborghi.

Nello stesso modo in cui hanno successo i ristoranti in concessionaria, un divo o una diva arrivano alla celebrità se fanno qualcosa di speciale, o magari se gli capita qualcosa di speciale. E proprio come per le catene di ristoranti e il successo, più è semplice la natura della celebrità di un divo, più il divo avrà successo e la sua celebrità durerà nel tempo. Pensate alle categorie di persone famose che seguono: un divo del cinema bello e buono; un assassino solitario dotato di ottima mira; uno statista sempre in possesso delle parole giuste al momento giusto. E poi, come no, una principessa che si dedica con grande abilità a fare la principessa. Queste sono tutte attività commerciali in esclusiva, di profilo forte, facili da capire e praticamente scevre di ambiguità di sorta.

La Principessa Diana aveva l'esclusiva del titolo di Principessa più o meno tutta per sé. Provate a ragionarci su: quante altre principesse esistono al mondo, a conti fatti? Le uniche due che mi vengono in mente sono le sorelle Grimaldi di Monaco, ma loro, obbligate come sono a subire l'esclusiva della celebrità fin dal giorno della nascita, hanno tutta l'aria di essersi ritirate completamente dal mercato delle principesse, e con tutta probabilità la decisione non gli ha fatto troppo bene. Ci sono una o due principesse in Giappone, in Danimarca, in Spagna e... be', e poi basta. Gli altri reali d'Europa girano in bicicletta ormai da decenni, come se per un soprassalto di percezione extrasensoriale avessero presagito gli orrori del vivere nella grande arena massmediatica delle celebrità di fine ventesimo secolo e si fossero detti: Non se ne parla neanche, è ora che ci demistifichiamo da soli. I reali giapponesi, invece, hanno fatto quello che con tutta probabilità la Regina Elisabetta si è pentita di non avere fatto da anni, vale a dire se ne stanno per conto proprio, non vanno mai a cena al ristorante, si fanno vedere solo nelle occasioni pubbliche in abito da cerimonia e in generale evitano le luci della ribalta con la determinazione di chi considera ciascun flash di macchina fotografica una radiografia.

"Principessa Planetaria". E' un bel peso da reggere per chiunque. E' come se la Principessa Diana fosse diventata tutta in un colpo personificazione della Microsoft, personificazione della McDonald's, personificazione della Ford. Aveva il monopolio totale del nostro bisogno primordiale e profondamente umano di esaltare e glorificare la bellezza, la fama e la beatitudine di quella giovane donna, quella giovane madre che ballava con un principe, di quella donna che un giorno sarebbe divenuta regina.

Ora: alla luce delle lamiere accartocciate della Mercedes, alla luce di un autista zeppo di alcol e Prozac, alla luce delle telecamere a circuito chiuso del Ritz Hotel, alla luce dei plotoni di fotografi in jeans e maglietta. Alla luce di tutto questo, sarebbe il caso che ci facessimo le seguenti domande: La celebrità si è trasformata in qualcosa di negativo? E' forse diventato un pericolo essere famosi? E' poi così bello, in fondo, essere celebri? La celebrità vale davvero il divertimento che procura? La celebrità ha davvero un buon rapporto qualità/prezzo? Quali sono le vette della fama: Michael Jackson nel 1993? Madonna nel 1992? Diana nel 1997? Il concetto di celebrità esercita su di noi un'enorme seduzione, ma quali esattamente ne sono i guadagni, sempre che ve ne siano?

Torniamo a Diana. Abbiamo visto tutti i reportage, quella notte. Il tunnel a Parigi, i lampioni che mandavano luce gialla ai vapori di sodio, i turisti affollati ad assistere alla scena dalle transenne più in alto, la gru che sollevava la Mercedes, le... be', lo sappiamo tutti benissimo cosa abbiamo visto. Per me è stato come assistere a una collisione in un acceleratore di particelle, un evento che si verifica solo alle altitudini rarefatte della fisica pura, in tunnel circolari sotterranei magnetizzati dentro ai quali particelle di materia accelerate a velocità prossime a quella della luce vengono spinte a scontrarsi una contro l'altra, dando origine a esplosioni di frammenti studiano le cui tracce arriviamo a capire di cosa è costituito il mondo ai suoi livelli più infinitesimali. In questo senso, cosa sappiamo? Una Mercedes lanciata ad altissima velocità si immette in una galleria arcuata di Parigi; si verifica una collisione, e dall'altro capo della galleria schizza fuori una Fiat Uno nera: la particella generata dallo scontro. Da eventi del genere potremmo ricavare l'analogia che questo mondo massmediatico di fine ventesimo secolo, alla fine di tutto, sembra frammentarsi in una successione di Fiat Uno silenziose, quasi invisibili, che sfuggono rapidissime ad ogni esame e ogni concetto di responsabilità penale, schizzano via in una tenebra da cui non sarà più possibile ricatturarle.

Se i terroristi volessero davvero gettare nel panico la cultura occidentale darebbero inizio a una campagna di bombardamento delle attività commerciali in franchising, tutte quante: officine per auto a servizio rapido, stazioni di servizio, catene di alimentari e giocattoli. Atti terroristici del genere obbligherebbero consumatori e cittadini a una ridefinizione drastica del capitalismo nella fase in cui si esaurisce la sua spinta propulsiva.

Allo stesso modo, se i terroristi volessero davvero fratturare la cultura occidentale, darebbero il via a una campagna di assassinio non solo dei leader politici, ma anche delle personalità più celebri. E magari anche di quelle non tanto celebri. Di colpo, vedere il proprio nome sui giornali diventerebbe rischiosissimo. Leggere le previsioni del tempo alla tv diventerebbe motivo di terrore. Nessuno più rilascerebbe dichiarazioni ai giornali. Le telecamere starebbero ferme a raccogliere polvere. Ogni tipo di moda finirebbe. I membri delle famiglie reali passerebbero alla clandestinità. Il ruolo dell'individuo nella società muterebbe radicalmente. La società si ritroverebbe trasformata irrimediabilmente da una moltitudine di piccole Uno nere che sfrecciano per le strade seminando pallottole per poi fuggire dalla scena del crimine e non lasciarsi prendere mai.

Diversi anni fa ho letto qualcosa a proposito di una bambina inglese, la prima vera figlia del ventunesimo secolo. Si chiama Katy Green, oggi undicenne, e vive nella piccola cittadina inglese di Saltney. Katy è affetta da "porfiria eritropoietica congenita" (CEP), una sindrome a causa della quale anche la luce più soffusa, quella della televisione, dei fari di un'automobile o addirittura il bagliore della luna, è in grado di provocarle eruzioni cutanee, febbri e cefalee. Può uscire nel mondo solo completamente coperta, mascherata e protetta. Troppi flash di macchina fotografica, se anche non uccidessero la povera Katy, le farebbero di sicuro molto male. La rovinerebbero per la vita. Macchine fotografiche = morte. Penso a Katy come a una bambina che indossa il chador della cultura secolare, l'uniforme di ordinanza del ventunesimo secolo, un luogo in cui sono famosi tutti e non è famoso nessuno e tutti sono al volante di una Fiat Uno.

Negli anni Cinquanta, Truman Capote leggeva un articolo di giornale in cui si domandava ai liceali di Los Angeles di citare quello che secondo loro era il contrario di "gioventù". Quasi tutti rispondevano: "Morte". Cinque decenni più tardi, quando si chiede agli studenti di Los Angeles cosa desiderano di più dalla vita, quelli rispondono: "Diventare famosi". Viene da chiedersi che immagine mentale Diana si fosse fatta della celebrità prima di sposare Carlo. Mi domando se in vita sua abbia mai dimenticato come ci si sente a non essere famosi. Mi domando se rifarebbe tutto da capo.

Vostra madre aveva solo un anno meno di me e ci siamo sposate entrambe a 19 anni per cui riesco a immedesimarmi in voi perfettamente anche se le nostre strade non si sono incrociate mai. Tina.

Cari Principi William e Harry, siamo felici nel profondo del cuore di avere conosciuto vostra madre. Allan e Steph.

In ricordo di una principessa adorata. Famiglia Wong.

Sognavo sempre che prima o poi tu e io potessimo passare una giornata fra ragazze, a fare compere e ridere insieme e scambiarci consigli su come crescere i nostri bambini, e ora invece non potrà mai succedere. Christina.

Diana, nonostante una vita inquieta hai abbracciato il mondo con coraggio e forza. Lynne.

Il tuo amore + la tua presenza ci mancheranno in eterno. Courtney.

Questi sono solo alcuni degli epigrammi scritti sui bigliettini spillati ai mazzi di fiori deposti davanti alla sede del Consolato di Gran Bretagna a Vancouver, la mia città.

Per raggiungere il libro delle partecipazioni sistemato su un tavolo dal personale del Consolato, bisognava farsi quattro ore di coda. A pochi isolati di distanza, lungo la stessa via, si stava formando un'altra coda: quella per trovare un posto al ristorante Planet Hollywood. Su entrambe le code scattavano i flash dei fotografi. Non ho alcun dubbio che quella sera in tutto il mondo le file per entrare in un Planet Hollywood, in un Fashion Café o in un Hard Rock Café fossero lunghe né più né meno di quelle che si formavano per firmare i libri delle partecipazioni per la morte di Diana. La pulsione alla celebrità era la medesima, solo dirottata in un'altra direzione.

Mi torna in mente il giorno, all'inizio degli anni Settanta, in cui a San Isidro California, a sud di San Diego, un uomo armato è entrato in un McDonald's e ha aperto il fuoco uccidendo, mi pare di ricordare, una decina di persone. Secondo la leggenda, entro mezzanotte di quello stesso giorno la McDonald's aveva già raso al suolo il locale per trasformare lo spiazzo in un parco. Nel giro di un mese, a un isolato di distanza era già aperto un altro McDonald's.

Non sono ancora sicuro di come mi sento per la morte di Diana. Sono canadese e, prima che succedesse, lei sarebbe dovuta diventare la nostra regina. Prima, credevamo che avremmo visto il suo ritratto sulle banconote e sui francobolli. Potrei teorizzare finché voglio, in questa sede, riguardo cosa significasse Diana, ma alla fine dei conti mi viene la nausea a ripensare a quello che le è capitato. Mi manca. Vorrei che fosse ancora viva. Era destinata a diventare la nostra regina.